Ponte San Giorgio a Genova

2021-11-16 13:23:55 By : Ms. Amy Zhang

La ricostruzione del viadotto Polcevera è stata impegnativa e ha coinvolto tutti gli aspetti che caratterizzano una nuova opera di grande impegno ma, soprattutto, è stata soggetta a vincoli temporali, operativi e anche comunicativi, per non dire politici, non comuni nella costruzione di un viadotto anche se di grandi dimensioni. Il successo dell'intervento, nei tempi davvero brevi che hanno sorpreso l'intero Paese, è stato possibile grazie ad una fattiva collaborazione complessiva dei soggetti coinvolti, unitamente all'adozione sapiente di ogni possibilità presente nelle modalità progettuali e finalizzata alla massimizzazione della qualità dei il lavoro.

L'ingegnerizzazione dell'idea di Renzo Piano ha suggerito anche alcuni accorgimenti non comuni nel mondo infrastrutturale e derivanti dalla richiesta di una specifica attenzione agli aspetti architettonici di dettaglio, unitamente ad una dotazione impiantistica completa e ben organizzata. Questo articolo illustra, in estrema sintesi, l'intero processo progettuale della coperta, l'elemento più caratterizzante. Anche le sottostrutture con le loro fondazioni non sono sempre state elementi costruttivi facili, sia per la frequente interazione con le vecchie opere del viadotto demolito, sia per la presenza di innumerevoli vincoli antropici limitrofi. La mera stesura del progetto esecutivo è iniziata a gennaio 2019 e si è conclusa ad aprile 2019.

Immagini del ponte di Genova San Giorgio, durante le fasi di costruzione. 

 La geometria dell'impalcato del ponte di Genova

Il ponte San Giorgio è lungo 1.067 m e scorre ad un'altezza di circa 40 m attraversando la valle del fiume Polcevera che, insieme alla più piccola valle del fiume Bisagno, caratterizza il comune di Genova secondo la nota forma a .

Immagini del ponte San Giorgio di Genova, durante le fasi finali di costruzione e collaudo.

L'asse stradale è sostanzialmente rettilineo, ad eccezione di una curva a gomito con raggio di 300 m, posta negli ultimi 250 m ad ovest per il collegamento con la galleria Coronata, tra il palo P5 e la spalla SpA.

Pianta e sezioni del ponte

Trattandosi dei lavori di ricostruzione di un tracciato consolidato (tratto iniziale dell'autostrada A10, iniziato negli anni Cinquanta e aperto al traffico nel 1967, dopo il completamento del viadotto Riccardo Morandi) e operativo da oltre 50 anni, lo stato di avanzamento dei lavori ha necessariamente per essere sottoposto ad una posizione sostanzialmente immutabile delle spalle e, pur avendo effettuato un millimetrico lavoro di adeguamento ai moderni criteri di progettazione stradale (in termini di rotazione delle falde, inserimento di clotoidi e allargamenti per visibilità e sosta), non è stato possibile eliminare alcuni limiti preesistenti alla velocità di transito. L'indecisione tra la denominazione di "ponte" o "viadotto" è nel nostro caso estremamente reale; il fiume Polcevera è, infatti, un mero accidente nella sua ampia vallata, pur non dimenticando la sua violenza idraulica, e il termine viadotto sarebbe quindi più appropriato, tuttavia la parola ponte è più nobile dal punto di vista storico mentre il viadotto è percepito spesso come un semplice strumento per la scorrevolezza della strada. Per questo useremo entrambi i termini con cosciente indifferenza.

Del resto l'idea di Renzo Piano nasce anche da questo concetto avendo concentrato le poche campate maggiori, pari a 100 m, a cavallo dell'alveo e ponendo gli accessi su campate di sole 50 ma chiara conferma della centralità del fiume, scavalcato dal "ponte " di fronte alla valle attraversata dal "viadotto".

La sezione trasversale dell'impalcato, con la sua insolita bellezza, nasce dalla volontà di rendere l'opera, per quanto possibile, equamente percepita da qualsiasi distanza, e presenta un intradosso curvilineo policentrico (31,14 m e 26 m di raggio) con spessore massimo 4.837 m (compresa la pavimentazione stradale).

Su una larghezza di 29,8 m, compresi i camminamenti laterali, l'interasse degli appoggi è di soli 7 m, contribuendo alla snellezza dei piloni a sezione ellittica con assi di 4 me 9,50 m.

In superficie può sembrare che un impalcato così conformato rischi di ribaltarsi per azioni eccentriche, ma le sue dimensioni, e il conseguente peso, precludono tale rischio pur essendo sottoposto a un vento molto forte; solo sulle spalle era necessario, e comunque agevole, disporre i sostegni con interasse di 17 m per evitare dispositivi reattivi con carico negativo.

L'intero impalcato è in sistema misto acciaio-calcestruzzo e continuo per tutta la lunghezza compresa la rampa di svincolo che verrà meglio descritta in seguito.

La sezione adottata, sempre di altezza costante, supera le campate di 50 me 100 m; è evidente che ciò implica uno stato di sollecitazione flettente sostanzialmente differente, fino ad una teorica quadruplicazione delle sollecitazioni stesse.

Allo stesso tempo, la complessità geometrica della sezione limita invece la possibilità di variare gli spessori delle lastre in un range molto ampio. A tal fine, è stato contenuto il peso delle luci di 100 m, gettando una soletta di spessore ridotto (25 cm invece delle travi di 28 cm) su piattaforme metalliche collaboranti in sostituzione delle piattaforme in calcestruzzo utilizzate altrove.

Inoltre, nelle luci di 100 m, è stato utilizzato acciaio S460 per le parti più sollecitate (secondo UNI EN 10025-1 / 2/3: 2005).

La continuità dell'impalcato su oltre un chilometro ha imposto anche uno studio accurato di un sistema di vincolo in grado di assorbire le azioni sismiche (comunque relativamente modeste a Genova) insieme al vento (molto più significativo) senza trasmettere azioni eccessive all'esile pali gravosi nemmeno per le variazioni termiche stagionali. Oltre alle suddette esigenze analitiche, i sostegni dovevano essere molto ridotti per poter trovare spazio sotto le appendici (che chiameremo “gambe”) all'interfaccia tra l'impalcato e le testate dei piloni richiesti dal concept architettonico.

L'utilizzo di FPS a singola superficie, con attrito nominale dell'1%, ha risposto a tutte le esigenze esistenti, contenendo gli ingombri anche con carichi fino a 60.000 kN e scorrimento fino a /- 400 mm. In ogni caso sulle spalle sono state inserite guide prismatiche per evitare movimenti trasversali; essi, abbinati a dispositivi multidirezionali sui moli più vicini, hanno efficacemente ottimizzato l'intero isolamento dell'impalcato anche ai fini della sua viabilità. al team di progettazione Italferr> LEGGI L'ARTICOLO Carichi agenti e robustezza

Il progetto del Ponte di Genova: i segreti di un'opera compiuta in così poco tempo

Intervista al design team Italferr> LEGGI L'ARTICOLO

L'eccezionalità dell'opera ha suggerito, prima di essere imposta, un'analisi estremamente accurata e anche del tutto infrequente delle azioni sollecitanti.

I normali carichi stradali previsti dalla legge, ad esempio, sono stati integrati dal transito simultaneo di un veicolo da 108 t per carichi speciali ma, soprattutto, è stata approfondita la valutazione dell'azione del vento, sia con studi CFD che con specifica galleria del vento indagini. .

È infatti facile comprendere come, in prossimità del mare a 40 m di altezza e all'inizio di una lunga vallata, la mera applicazione di formulazioni semplificate possa non fornire un'entità realistica delle pressioni agenti. Anche per quanto riguarda le verifiche a fatica è stato applicato un principio di massima attenzione, utilizzando anche lo schema di carico 1 a vita illimitata; l'attuale schema di carico 2, infatti, presenta dei limiti se utilizzato su tratte autostradali e luci superiori a 70 m, così come le verifiche del danno comportano ipotesi previsionali sullo sviluppo del traffico che possono limitarne l'efficacia su importanti assi stradali dopo pochi decenni.

Oltre alle azioni principali, il ponte San Giorgio è soggetto a carichi solo apparentemente marginali che, però, definiscono alcuni elementi in modo significativo.

Ad esempio, la passerella di servizio esterna alla carreggiata è stata verificata per il carico derivante da un veicolo deviatore che può insistere sulla canalina e contemporaneamente portare il carico del robowash, che è un dispositivo automatico dedicato alla pulizia delle barriere in vetro e previa ispezione del fondo. La canalina è quindi un ponticello a 3 luci con luci 1,5 m.

Apparentemente si tratta di un problema minore, ma l'esigenza architettonica di mantenere snelli i piani di appoggio e privi di piastre inferiori ha richiesto, anche in questo caso, uno studio approfondito.

Ci sono poi i pennoni, più volte citati, che nell'idea iniziale di Renzo Piano dovevano ricordare le vittime della tragedia. Nel ponte San Giorgio costruito diventano elementi illuminanti della carreggiata posti ad una distanza di 50 m lungo lo sviluppo in asse con la struttura; 50 m è l'interasse dei piloni ad eccezione delle tre campate centrali di 100 m, nelle quali le pennoni hanno richiesto la definizione di specifici elementi di sostegno posti al centro della campata; con un'altezza di 28 m questi elementi necessitano di un ancoraggio flangiato che, passando sopra la soletta, si ancora direttamente ai diaframmi.

Oltre a ciò, l'inserimento di elementi tra i due spartitraffico ne limitava l'ingombro (per garantire la deformabilità richiesta alle barriere stesse) e lo sviluppo tronco conico individuato consentiva l'utilizzo di tubazioni fino ad un diametro esterno di 500 mm, richiedendo l'adozione di tondi pieni torniti per la parte superiore lunghi circa 14 m. Il tema della resistenza strutturale merita una menzione specifica.

Viene quasi sempre citato nei progetti moderni con lo scopo capzioso di indurre un pensiero positivo, anche se non proprio concreto.

Al contrario, nel progetto del ponte San Giorgio si è voluto ipotizzare e analizzare 5 possibili scenari di situazioni eccezionali che potrebbero portare a crisi locali o generalizzate della struttura.

Poiché la ricostruzione del viadotto Polcevera nasce dalla tragedia del 14 agosto 2018, abbiamo voluto, ricordando Wittgestein, concepire una struttura che si piega ma non si spezza. Pertanto, nella scelta degli scenari, si è tenuto debito conto sia delle reali esigenze strutturali, sia delle richieste dei media (cadute di aerei), sia dei dubbi sul crollo del ponte Morandi (la bobina d'acciaio).

Nel primo scenario si ipotizzava la crisi di un appoggio, cioè di un baggiolo o di un palo, nel secondo l'effetto dell'esplosione di un carro armato sulla carreggiata, nel terzo l'impatto di un aereo leggero, nel quarto la caduta di una bobina da 35 t ed infine il cedimento di un remo che sostiene la suola.

Tutti i controlli sono stati ovviamente effettuati con coefficienti parziali unitari. Questo articolo fa parte dello Speciale Ponte San Giorgio che costituisce il numero 4/2020 della rivista Costruzioni Metalliche, dove l'argomento è stato ampiamente trattato, con numerosi articoli. Chi fosse interessato può acquistare online il numero della rivista. La sezione strutturale dell'impalcato

Questo articolo fa parte dello Speciale Ponte San Giorgio che costituisce il numero 4/2020 della rivista Costruzioni Metalliche, dove l'argomento è stato ampiamente trattato, con numerosi articoli. Chi fosse interessato può acquistare online il numero della rivista.

Una delle particolarità del ponte San Giorgio, come già accennato, è la presenza di un impalcato largo 29,80 m sorretto da pali larghi solo 9,5 m.

Per ottemperare a ciò, ottenendo una struttura comunque di facile realizzazione, si è deciso di realizzare una cella portante centrale costituita da un cassone unicellulare con lati di 7 m (larghezza) e 4.467 m (altezza massima, del solo carpenteria metallica) con fondo curvilineo. Uno dei primi problemi legati a questa soluzione, insieme alla citata necessità di contenere il peso e utilizzare acciaio S460, era la necessità di contenere lo spessore delle piastre inferiori della scocca entro un limite superiore di 40 mm per poter piegarli secondo la geometria richiesta. Dove l'area dell'acciaio era insufficiente, le nervature longitudinali sono state rinforzate fino ad un valore di 40 mm, quasi raddoppiando la resistenza disponibile. Il montaggio del cassone ai piedi dell'opera è stato facilitato dallo studio dettagliato della sua scomposizione in porzioni trasportabili, anche alla luce della costruzione suddivisa tra le officine "navali" di Fincantieri e le officine di falegnameria pesante.

Infatti la coppia di travi, con anime alte circa 4100 mm, è stata realizzata in due sezioni e giuntate verticalmente con semplici cordoni angolari grazie al posizionamento di una nervatura longitudinale di sostegno (400x30 mm ricavata da lamiera Z35, unica nello sviluppo di l'anima con spessori variabili tra 20 e 40 mm).

Le ali superiori variano di spessore tra 30 mm e 50 50 mm e, solo sui pali P8, P9, P10 e P11, che sostengono le campate di 100 m, degenerano in un unico foglio largo 8000 mm per una lunghezza di 34 m. Particolare attenzione è stata posta alla geometria delle scanalature di tutti i giunti saldati di testa dei suddetti platbands costituenti i segmenti della trave principale. Questo al fine di ottenere dettagli costruttivi ottimali soprattutto ai fini della durabilità, manutenibilità e fatica.

La soletta collaborante (con pioli Nelson 22x175 mm), come già scritto, ha uno spessore variabile tra 25 cm e 28 cm ed è gettata con calcestruzzo C45/55; particolare cura è stata posta nello studio delle fessurazioni al fine di individuare le zone che potrebbero richiedere un rinforzo insensibile alla corrosione. L'armatura in acciaio inox è stata quindi disposta nei cordoli laterali e nel cordolo centrale, in quanto questi sono gli elementi della soletta in cemento armato più esposti agli agenti atmosferici.

Se la cella portante è ben individuata, è necessario approfondire alcune osservazioni sulle porzioni laterali dell'impalcato che sono sostenute da strutture triangolari, essenzialmente “puntoni e tiranti”, con sbalzi di circa 10 m.

Il montaggio della scocca è stato ovviamente previsto mediante saldatura mentre sono stati realizzati giunti bullonati in categoria B per le strutture laterali (secondo UNI EN 1993-1-8:2005); questo anche perché l'installazione, ad un'altezza di 40 m, doveva essere il più flessibile e libera possibile. Infatti, alcune campate sono state montate completate ed altre, invece, limitate al solo cassone, in base alla possibilità di appoggiare a terra le gru mobili.

Remo laterale imbullonato al corpo centrale

La coppia di celle laterali, specularmente omotetica, ospita sia le tubazioni per il convogliamento delle acque di piattaforma (anche questo tema non facile, in conseguenza della scelta di realizzare un viadotto pianeggiante lungo un chilometro) sia le passerelle continue che, in numero , di tre, consentono il controllo dell'intera opera.

Poiché le piastre di fondo laterali, ad eccezione delle sezioni corrispondenti ai pali, non devono svolgere una funzione portante (è una piastra di 10 mm irrigidita solo per mantenerne la forma), le connessioni sono predisposte nelle giunzioni tra i conci a baionetta in grado di trasferire il taglio, e quindi la continuità dei bordi affiancati, ma non il normale sforzo. A differenza dei soliti ponti, il ponte San Giorgio non ha i sostegni disposti sotto le travi dell'impalcato ma presenta una serie di elementi di transizione, le cosiddette "gambe", alte circa 1,2 m, che ne enfatizzano la leggerezza percepita).

Dal punto di vista dell'ingegnere, la geometria di questi elementi in carpenteria metallica, allora caratterizzati secondo superfici ad unica curvatura, è una questione complessa che è stata risolta considerando tutte le situazioni di spostamento, prima del carico, possibili per gli appoggi .

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