In vendita una rarissima Tommykaira ZZ - Rollingsteel.it

2022-07-29 22:25:24 By : Mr. Zon Pack

Se vi dico Nissan Primera, probabilmente controllereste subito se siete su Rollingsteel o su qualche pagina che parla delle 10 berline più anonime degli anni ’90. Non penso se la ricordino in molti… d’altronde un nome che puoi confondere con un punto della scopa e una linea che faceva girare la testa dall’altra parte non aiutarono di certo le vendite. Incredibile che dallo stesso marchio uscisse quella belva che era la Skyline. Ma lo sapete che se tiriamo in ballo anche un mezzo mediocre come questo… beh un motivo c’è.

allora io faccio denari, sette bello e Primera

In quegli splendidi anni oltre che dalla Formula 1 i cuori degli appassionati erano infiammati dai vari campionati Turismo. Se da noi Alfa Romeo, Bmw e Audi se le davano di santa ragione tra i cordoli, nella lontana terra di Albione trovavano la gloria anche modelli che di sportivo avevano ben poco. Parliamo di auto come Ford Mondeo, Volvo SW e, appunto, Nissan Primera.

Il motore da cui derivavano quelli delle Primera che corsero nel BTCC (e che lo vinsero pure nel 1999) era un tranquillo 2 litri DOHC da circa 140cv che la Nissan usava su circa una quindicina di modelli (180sx e Silvia compresi), il famoso SR20. Ora caso vuole che lo stesso motore della berlina giapponese all’epoca fu usato per una delle auto più fighe mai costruite, un concentrato di passione e voglia di guidare come pochi se ne sono mai visti. La leggendaria Tommykaira ZZ.

Rara e praticamente sconosciuta in Europa, la Tommykaira è una barchetta che già di serie regala sensazioni straordinarie, se poi la mettete giù da pista con i giusti componenti allora potete pure trovare il Nirvana. E tutto questo ad una frazione del prezzo di auto che possono offrire (forse) lo stesso. Già perché oggi avete l’occasione di portarvene a casa una, vi basta contattare John Timewell, un appassionato corridore britannico nonché proprietario della Performance and classic car (nel Norfolk), ed elargirgli 35mila sterline (trasporto e tasse escluse), in cambio lui vi consegnerà le chiavi di una delle auto più rare e speciali del mondo.

Tempo fa il nostro amico John è riuscito ad acquistarne una, l’ha smontata e ricostruita con specifiche racing per tirarne fuori tutto il potenziale. La carrozzeria è stata rivista sotto il profilo aerodinamico, le sospensioni e i freni migliorati. Ma il meglio si cela sotto il cofano. Motore e cambio originali ora hanno le specifiche di quelli che equipaggiavano la Nissan Primera della RJN Motorsport negli anni ’90. Questo motore (ovviamente rifatto da zero) sviluppa più di 270 cv, non tanti in assoluto ma su un auto che pesa in tutto 780 kg fanno risultare un rapporto peso potenza di 2.8 kg/cv, roba da sgommata assicurata (asfalto e mutande). Se siete impallinati di track day o corse sul misto non vi rimane che comprarla subito e poi, ovviamente, chiamateci per provarla, sapete dove trovarci!!

Se guardando le foto di questo gioiellino vi state chiedendo come avete fatto a vivere fino ad oggi senza conoscerla ci pensiamo noi di Rollingsteel ad erudirvi. Innanzitutto partiamo da un concetto: nella vita per avere successo non basta solo essere migliori degli altri (anzi a volte questo nemmeno serve), quello che serve, per almeno la metà, è il fattore Cu.

Non stiamo parlando del rosso metallo che occupa la casellina n. 29 della tavola periodica, ma di quella parte del corpo umano (di cui il genere femminile ci dona eccellenti esempi) a cui associamo il concetto di fortuna: il culo!

L’importanza di questo fattore era nota persino a Machiavelli che diceva: “dalla fortuna dipende la metà delle azioni umane, l’altra metà è data dalla virtù ovvero dalle capacità dell’uomo”.

Fondamentalmente bisogna essere fortunati nel nascere in un posto e in un momento storico ben preciso, dove le nostre capacità possano esprimersi al meglio. Pensate se Von Braun fosse nato 20 anni dopo, o Nikola Tesla ai tempi del Re Sole, oppure se Enzo Ferrari invece che nella terra dei motori fosse nato in qualche paesino sperduto di una isoletta greca. Il mondo sarebbe certamente diverso da come lo conosciamo oggi.

Questa regola è valida anche nel mondo delle auto. Quanti modelli conosciamo che a vederli e a leggerne le caratteristiche tecniche erano perfetti e poi per qualche scherzo del destino sono stati sopraffatti da auto meno valide? Forse perché troppo innovativi, non capiti dalla clientela o magari snobbati perché non portavano sul cofano uno stemma famoso.

Uno di questi casi è proprio la storia che vi andiamo a raccontare oggi, quella di questo piccolo ONI (demonio in giapponese) a quattro ruote, nato nella terra del sol levante ma con uno spirito tutto made in UK.

Moltissimi di voi, me compreso, l’avranno conosciuta grazie a Gran Turismo 2. Era il 28 Gennaio 2000 e la Sony fece sbarcare in Europa il secondo capitolo di quella che sarà una saga dal successo stellare. Rispetto alla versione precedente furono fatti passi da gigante. Già il fatto che era pensato per la futura PS2 ma giocabile sulla console di prima generazione era tantissima roba, ma una delle cose che più fu apprezzata era la quantità di auto disponibili. Poter accedere ad un garage che comprendeva oltre 600 modelli era, all’epoca, da fuori di testa.

Uno dei pregi di tanta abbondanza fu anche venire a conoscenza di marche e modelli a noi sconosciuti, un po’ perché avevano una produzione alquanto limitata come Lister e Venturi un po’ perché erano confinate nel loro paese di origine come appunto le Tommykaira.

Ma come spunta fuori questa piccola roadster dai grandi occhioni? E soprattutto chi era ‘sto Tommykaira?

Innanzitutto non si tratta di una sola persona ma di due: Yoshikazu Tomita e Kikuo Kaira.

Tomita a vent’anni si guadagnava da vivere vendendo auto nella sua Kyoto. Sempre attento alle nuove mode alla fine degli anni ’70 puntò sul tuning. Prendendo spunto dalla “Red Pig” dominatrice della Spa 24H, modificò la sua 350 SEL nello sterzo e nelle sospensioni, scoprendo che sotto quel catafalco di macchina si celavano doti di guida inaspettate. Cominciò quindi a spacciare pezzi speciali per i suoi facoltosi clienti. Dal 1980 passò all’importazione di AMG e successivamente, quando l’accordo venne meno, diventa importatore ufficiale dei modelli del preparatore Hartge.

In un Giappone che diventava sempre più ricco, molti volevano una auto sportiva di livello e Tomita si gettò nell’importazione di auto esotiche (Ferrari, Lamborghini, Shelby etc.) diventando in seguito uno dei principali fautori della cultura giapponese per le supercar e le auto italiane negli anni ’80/90. Non mancò l’interesse alle corse automobilistiche, prima come manager del team Hayashi Racing nel 1982, in seguito come team principal del team Auto Beurex in JTCC, che con la Hartge 635 CSI vinse il campionato JTCC nel 1985.

Kaira invece iniziò la sua carriera nel motorsport come meccanico, ma non disdegnava di fare il pilota quando ne aveva occasione. Contribuì alla progettazione di alcune Formula Junior per il campionato giapponese ma i soldi non erano abbastanza, quindi, dopo alcuni risultati incoraggianti in All Japan F2, smise di correre lavorò come ingegnere e designer per alcuni progetti. Degne di nota le Royce RM-1 (auto da Grand Champion basata sulla March 792 BMW) che conquistò 8 podi e 6 pole, e le Toyota 83C e 84C, progettate quando fu incaricato come capo progettista telaio da Dome Co. Ltd.

Toyota 84C davanti e dietro la misteriosa Dome Zero

lo stemma di Tommy Kaira era una tartaruga con il guscio che ricordava un filtro dell’aria sportivo

I due si incontrarono durante la 24H di Le Mans del 1980 e da quell’incontro nacque La Tommykaira. Fondata a Kyoto nel 1986 per distribuire i prodotti della Tomita Auto Co. Ltd., diventa presto un punto di riferimento per gli appassionati. Curiosamente le prime auto che portarono la firma Tommykaira non avevano gli occhi a mandorla, ma parlavano tedesco. Le Mercedes erano molto apprezzate in Giappone e il nuovo preparatore volle distinguersi offrendo ai suoi clienti versioni ad alte prestazioni di Mercedes 190E (W201) e 300 E (W124).

Stella a tre punte in salsa Teriyaki

La 190E 2.0 ad esempio, ora ridenominata M19, riceveva una nuova testata in alluminio e nuovi pistoni per aumentare il rapporto di compressione, camme dal profilo più spinto, filtro aria sportivo e scarico in acciaio inox. La potenza passava così da 122 cv a 153 cv. Non mancavano assetto sportivo, cerchi BBS scomponibili, un sobrio kit aerodinamico e qualche striscia un po’ tamarra ma che era di moda. Il successo non tardò ad arrivare e dopo Mercedes Tommykaira si specializza nelle elaborazioni su modelli Nissan (ma non disdegnavano di elaborare anche Subaru).

non importa se sei pezzente o ricco, per tutti c’è una Tommykaira!

Ma fare tuning, seppur ad alti livelli non basta. Tomita e Kaira hanno da sempre una scimmia che gli balla sulla spalla: costruire da zero un auto tutta loro. Era il 1991 e le loro vulcaniche idee sfociarono in un progetto: l’auto sportiva ideale!

Semplice, leggerissima, dal prezzo abbordabile ma che potesse regalare intense sensazioni di guida (se vi e’ venuto in mente Colin Chapman e la sua Lotus Seven siete sulla strada giusta). E quando i giapponesi ci si mettono, sanno fare le cose per bene.

Nel 1992 il primo prototipo già correva in pista per affinarne il setup. Non aveva ancora una carrozzeria ed era tutto bene in vista. La parte centrale, il telaio vero e proprio, era una vasca in estrusi di alluminio a sezione quadrata, a questa erano imbullonati anteriormente e posteriormente due telaietti in acciaio: uno a sostegno delle sospensioni anteriori, uno a sostegno del motore e delle sospensioni posteriori. Come nelle auto da corsa ogni triangolo delle sospensioni anteriori aveva un perno collegato direttamente al telaio.

Come motore la scelta cadde su un Nissan SR20DSE. Per dargli un po’ di pepe pensarono bene di buttare nel cesso l’iniezione e sostituirla con dei cari, vecchi e ignorantissimi carburatori da moto, i Keihin FCR da 45, che regalarono ben 40 equini supplementari, arrivando a 180 cv a 6900 giri/min nella versione base (195 nella versione più spinta ZZ-S).

La linea della vettura venne definita nel 1993 ad opera del progettista della Mooncraft, Takuya Yura. Il design proposto colpì subito Tomita, che se ne uscì dalla sala con gli occhi a cuoricino in pieno stile manga. Si trattava di una barchetta bassa, larga e dagli sbalzi ridottissimi (lunga 363 cm larga 174 e alta appena 110) .

La carrozzeria era in fibra di vetro, le porte (se si possono definire tali) erano senza finestrini, senza maniglie o serrature e celavano un pozzetto che era l’unico posto in cui poter riporre qualcosa.

un capiente e pratico bagagliaio

Il tettuccio bigobbuto era più che altro un parasole (non avendo finestrini ne lunotto), una volta tolto poteva essere riposto sopra il cofano motore. Fissato tramite quattro bulloni alle estremità, era pensato per lasciar smaltire il calore del motore creando un apposito flusso d’aria. Se proprio volevate ripararvi dalle intemperie potevate optare per un hard-top che aveva il lunotto in acrilico e i finestrini in polipropilene, apribili con una lampo lungo il loro perimetro.

L’abitacolo, con i caratteristici sedili convergenti (e cinture a quattro punti), sembrava quello di un auto da corsa. Non c’era nulla votato al comfort, tutto era studiato per la goduria del pilota. Telaio in vista, strumentazione completa, pedaliera racing e leva del cambio con leveraggi in vista. Non serviva altro e il durello una volta incastrati nel sedile era assicurato. Se poi mettevate una aspirazione più aperta e uno scarico fatto ad hoc… ciaone proprio!

Gli ammortizzatori erano Bilstein ovviamente regolabili, mentre il reparto freni contava su quattro dischi AP Racing (con gli anteriori autoventilanti), volendo si potevano avere come optional pinze Brembo a due pistoncini all’anteriore.

Sulla bilancia la Tommykaira denunciava un peso piuma di appena 670 kg. Il serbatoio da 45 lt, posizionato appena dietro il sedile del passeggero, era sufficiente a placare per un po’ la sete della ZZ che “grazie” ai carburatori faceva si e no 12 km/l se si adottava una guida accorta.

tutto ciò che serve al piacere, il resto è superfluo (notare i sedili convergenti)

Ma con un auto del genere sotto il sedere, il consumo era un dato non contemplato dai proprietari che, grazie al peso ridottissimo, passavano da 0-100 in appena 4.1 secondi e potevano spingersi fino a 240 km/h (modello base) con una tenuta di strada eccezionale. Se non vi bastava, da buon tuner quale era, Tommykaira prevedeva quattro diversi stage di elaborazione del motore oltre a diverse parti speciali per cambio e assetto. Bastava solo aprire il portafogli.

Ad onore di cronaca la Elise S1, che verrà presentata un paio di anni dopo, pesava 720 kg e aveva 120 cv sprigionati da un Rover serie K dalla proverbiale (in)affidabilità inglese, mentre la Renault Spider aveva 147 cv ma pesava ben 930 kg. A confronto della ZZ erano due paracarri.

Per produrla, Tomita appronta una nuova società in Inghilterra, la Tomita Auto UK Ltd., nel complesso industriale di Ironside way a Hingham nel Norfolk, non molto distante dalla Lotus. La speranza era di produrre 12 vetture al mese e la scelta di produrre in Inghilterra pur se l’auto era destinata al solo mercato Giapponese, aveva delle ragioni logiche.

Innanzitutto sfruttare le agevolazioni sui crash test per i piccoli produttori, l’Inghilterra pullulava di piccoli costruttori di sportive, quindi sarebbe stato più facile e meno costoso trovare in loco fabbrica e lavoratori già formati, invece che crearne in Giappone. Non a caso la maggior parte dei dipendenti della Tomita Auto UK erano ex meccanici Lotus.

La costruzione del telaio fu affidata alla Arch Motor di Huntingdon che forniva i telai delle Lotus 7 e 23 e che produceva parti per Lola, Ford GT40 e altri prototipi, invece la carrozzeria veniva costruita nel Kent e verniciata da Tomita Auto UK.

Le riviste (soprattutto inglesi) che provarono la ZZ rimasero stupefatte: rispetto alla Elise la giapponese era più piantata a terra, con un feeling da vera auto da corsa. L’anteriore era molto reattivo e la distribuzione dei pesi non perdonava facilmente ingressi in curva troppo irruenti. Giusto qualcuno trovò che lo sterzo paragonato a quello della Lotus avesse un filo in meno di dettaglio, ma erano inezie.

Sul circuito di Tsukuba, in una prova di Best Motoring, il giro della ZZ si conclude in in un minuto, sette secondi e 40 centesimi, roba a livello di una Skyline GT-R R32 V-Spec e simili. Ben due secondi più veloce di una Elise S1 guidata sempre dallo stesso pilota. Per un auto nata puntando al piacere di guida era un risultato notevole.

Suppongo che adesso vi stiate chiedendo come mai, se era davvero l’auto ideale per chi ama la guida, non ha avuto il successo che si sperava? Innanzitutto il fatto che fosse destinata al solo mercato giapponese ce la rese inaccessibile, poi la Tommykaira ZZ ha pagato lo scotto economico della produzione in UK. Alla fine al cliente tra una cosa e l’altra veniva a costare quanto una Elise 190 che era in pratica quasi un auto da corsa. Il prezzo di listino così alto poi le faceva spesso preferire modelli più blasonati (e soprattutto pratici).

Ma quello che l’affossò definitivamente fu quando nel 1999 il Ministero dei Trasporti giapponese annunciò l’aggiornamento degli standard di sicurezza negli urti frontali dai criteri europei (e quindi anche inglesi) a quelli americani, i quali non prevedevano deroghe ai piccoli costruttori.

La produzione, iniziata nel 1997, fu interrotta dopo poco più di 200 esemplari e questo portò al tracollo della Tomita UK. Quando dopo pochi mesi il ministero dei trasporti tornò sui propri passi, la frittata oramai era fatta. La Tomita Auto UK Ltd. fu ceduta alla AUTOBACS mentre quello che era sul suolo inglese fu rilevato da Mike Rawlings e Mark Easton che crearono la Breckland Technology (in seguito costruiranno la Mosler MT900 e la Breckland Beira). La loro intenzione era rimettere in produzione la ZZ e fecero anche un accordo con la Tommykaira a cui sarebbe spettata la distribuzione di una percentuale della produzione. Ma tutto naufragò nel 2001 dopo appena 15-20 vetture assemblate.

Mosler Mt-900 2500 cv e 490,837 km/h… me cojoni!

Dopo che Rawlings aveva rinunciato, si fece avanti un suo amico, Paul Mickelburgh, che si mise in testa di poter vendere l’auto negli Stati Uniti oltre che in UK. Così nel 2002 fondò la Leading Edge Sports Car Company e mise a punto una rivisitazione della ZZ. Il nome cambiò in RT , il serbatoio per ragioni di sicurezza prese posto dietro entrambi i sedili e per ridurre il sovrasterzo furono riprogettate le sospensioni posteriori e dietro vennero adottati pneumatici da 235.

La nuova produzione verteva su due versioni, una da 190 cv con carburatori Mikuni, una da 240 cv con iniezione elettronica e testata SR20VE. I freni ricevettero pinze Wilwood a 4 pistoni e sul cofano posteriore crebbe un ala a due profili. Esteticamente si notavano fari anteriori più piccoli e sdoppiati e ruote da 17″. Tutto questo fece lievitare il peso a 720 kg. Dinamicamente la vettura era più neutra rispetto alla ZZ originale e si guidava ancora meglio. Fu messa a listino intorno alle 30mila sterline e venduta in pochissimi esemplari. tuttavia già nel 2006 la Leading Edge cessa di esistere, i progetti vengono nuovamente venduti… ma senza alcun seguito.

Anche se la carriera della ZZ è stata breve (ne sono state prodotte solo 257 e solo 6 esportate ufficialmente), in Giappone è diventata subito un cult. Molti fortunati possessori l’hanno modificata divertendosi come noi ci divertivamo su Gran Turismo. Cerchi di ogni foggia e dimensione, alettoni e splitter, scarichi racing, elaborazioni al motore e chi più ne ha più ne metta. Su YouTube ci sono parecchi video dedicati a lei che fanno venir voglia di partire per il sol levante e portarsene a casa una.

Chissà, se fosse nata in seno ad una grande casa come la Honda o la Nissan, o magari un paio di anni dopo quando il mercato delle piccole sportive ha avuto un certo successo, la sua storia sarebbe stata diversa. Forse non sarebbe servito Gran Turismo per farcela conoscere, e sarebbe stata la pietra di paragone del segmento, come poi lo è stata la Elise.

Su su, telefonate a John e portate in Italia questo unicorno giallo che vi renderà il re di qualunque raduno JDM da qui all’eternità. Per tutto il resto… c’è DI BRUTTO Volume Due, in fase di messa a punto e pronto per appontare sui vostri tavoli dopo l’estate. Iscrivetevi alla newsletter QUI per rimanere aggiornati, da bravi!

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